mercoledì 25 febbraio 2009
La modernità del Furioso come labirinto della mente umana
Intorno ad Angelica in fuga è un vorticare di guerrieri… Angelica, vero e proprio motore narrativo del poema, dà la spinta iniziale all’azione quei guerrieri che ne sono attratti (come in primo luogo Orlando, poi Rinaldo, Sacripante) e che, muovendo dal primo centro narrativo iniziano a spargersi nel mondo, incrociando le proprie vicende con quelle di altrettanti eroi; in questo modo si possono conoscere le storie che coinvolgono personaggi di ogni schieramento, dalla storia d’amore di Ruggiero e Bradamante a quella di Isabella e Zerbino, la vicenda del bruto Rodomonte, alla quale sono connesse, tra le altre, quella del rapimento di Doralice, sua promessa sposa, da parte di Mandricardo, e quella del duello finale tra Rodomonte e Ruggiero. Al centro del poema c’è un trabocchetto: è il luogo in cui i destini di tutti i personaggi ariosteschi si incontrano per farne comune esperienza, il castello di Atlante. Vi giunge Orlando così come Ruggiero e tutti i ricercatori del van; è un vortice di nulla, il deserto di ciò che si cerca. Soltanto Astolfo, più avanti, sarà in grado di farlo svanire nel nulla sconfiggendo il suo custode Atlante, e sempre Astolfo farà rinsavire Orlando dopo averne recuperato il senno sulla Luna, regno altro rispetto alla Terra. Solo a quel punto del poema tutti i nodi vengono sciolti, e la narrazione può volgere al termine con il matrimonio tra Bradamante e Ruggiero e la celebrazione di quest’ultimo come progenitore della stirpe erculea. Seppur connotati con caratteri diversi, gli innumerevoli personaggi hanno in comune il fine che li muove e il punto di approdo cui pervengono nel tentativo di raggiungere il proprio oggetto del desiderio. Infatti, essi si muovono come in una partita di scacchi smisurata: dall’unica partita si diramano partite simultanee che hanno luogo nella scacchiera del mondo, sottoposte a regole fisse, proprio come nel gioco degli scacchi. Ogni personaggio scende in campo con la propria storia alle spalle, che spesso ha avuto legami con le storie di altri. Ripercorrendo a segmenti la storia di ciascuno di essi, accade che alcuni segmenti siano condivisi da più personaggi; e se ad ogni segmento si dà la parvenza di una carta del mazzo di tarocchi, si ottiene quanto ha realizzato Calvino ne “Il castello dei destini incrociati”. All’interno del castello trovano rifugio quanti la notte ha sorpreso nel mezzo del bosco in cui è situato. Non potendo parlare, si raccontano le rispettive storie servendosi di un certo numero di carte del mazzo di tarocchi; alla fine dei racconti, queste sono disposte a formare un completo cruciverba di figure che possono raccontare una storia da qualsiasi parte esse vengano lette. Così come Ariosto, anche Calvino fa uso della propria arte di poeta per elevarsi a giocoliere e illusionista (come egli stesso si definisce) che con la propria fantasia crea storie di uomini che finiscono per aver sempre qualcosa in comune.
Oltre ad avere comuni tratti di cammino, i personaggi ariosteschi seguono un medesimo labirinto mentale, che nel macrocosmo del poema è lo stesso labirinto in cui hanno luogo le loro gesta. Il Furioso può essere considerato come l’ingrandimento delle dinamiche talvolta contrastanti che hanno sede nell’intelletto umano, nell’uomo di ogni tempo. In quest’ottica ogni personaggio non è altro che la concretizzazione di ogni aspetto del pensiero umano: così i guerrieri di “pasta fatata” sono la presunzione di incorruttibilità, l’esclusiva fama di gloria; Angelica è ciò di cui si va alla ricerca; Orlando è il senso di sconfitta che induce a follia; il Castello di Atlante l’illusione; Cloridano e Medoro l’idea di amicizia che prevarica ogni interesse; Ruggiero la consapevolezza che, in fondo, in nessun modo ci si può sottrarre alla vita reale. Queste spinte contrastanti vengono necessariamente ad intrecciarsi sin dal momento in cui l’uomo inizia a vivere. La modernità di Ariosto sta nell’aver compreso l’uomo del suo tempo (che è anche quello moderno) e aver realizzato un’opera che ne mettesse a nudo ogni suo aspetto con uno stile e una fantasia inconfondibili.
Francesca Pulina
sabato 31 gennaio 2009
Libere riflessioni sul Furioso
La struttura dell’Orlando Furioso è inesistente. Inesistente se con struttura si vuole intendere uno schema stabile e compiuto, un volume solido e immobile.
Si potrà obbiettare, certo, che al Furioso appartiene la stupefacente peculiarità di essere un poema a sé stante e di poter essere letto indipendentemente dai suoi precedenti cavallereschi e che perciò l’opera di Ariosto sia da considerarsi strutturalmente autonoma. Questo peraltro è uno egli aspetti che per primi vengono sottolineati da Calvino nel suo commento al poema (quasi a scusare i lunghi preamboli informativi della presentazione), ed è certamente vero. Ma proprio nel seguire le linee guida di Calvino non si può non notare che è un altro il tratto caratterizzante che viene da lui individuato: è il movimento.
Movimento “errante”, a zigzag, spezzato e intrecciato che contrassegna non solo lo spostamento dei personaggi al’’interno del poema con i loro incontri, duelli e separazioni, ma anche l’evolversi e l’involversi dei canti stessi.
Il racconto può in questo modo essere ampliato anche dal suo interno, come dimostra l’aggiunta attuata dall’Ariosto tra le edizioni del Furioso del 1521 e del 1532 che portò il numero dei canti da 40 a 46, e la struttura, se di struttura vogliamo parlare, rimane perciò aperta: Esistono, sì, tre pilastri tematici fondamentali (l’insano amore di Orlando per Angelica, le vicende di Bradamante e Ruggiero e lo sfondo della guerra tra Carlo Magno e Agramante) ma attorno a questi si avviluppa un tal numero di vicende ed episodi che le tre colonne portanti non paiono ergersi parallele e salde, ma talvolta toccarsi e intrecciarsi e talvolta divergere l’una dall’altra.
Una costruzione, questa, ben lontana dai solidi edifici letterari precedenti, come ad esempio la Divina Commedia , ma caratteristicamente non definita e circoscritta.
2)Del Castello
L’accostamento tra l’Orlando Furioso e il Castello dei Destini Incrociati avviene già dal primo incontro con il testo di Calvino, a causa della comune ambientazione e del bagaglio di immagini cavalleresche di castelli, dame e cavalieri a cui attingono entrambi gli autori.
Il processo di avvicinamento tra le due narrazioni sembra giungere a compimento nel momento in cui Calvino inserisce tra i personaggi approdati nel suo castello lo stesso Orlando e il paladino Astolfo, ma ci sono ancora numerose analogie individuabili nei due libri. Prima fra tutte l’intreccio delle vicissitudini dei personaggi, che in Calvino è rappresentato anche a livello grafico dal disporre i tarocchi sulla tavola, e la riduzione dei protagonisti agli stereotipi di se stessi per privilegiare invece l’aspetto narrativo.
Elemento che a prima vista pare però non assimilabile è la questione dello spazio. Come poter comparare, infatti, il circoscritto palazzo calviniano, i cui avventori si riuniscono tutti attorno a un tavolo, con la sconfinata geografia ariostesca, teatro di viaggi mirabolanti e intricati percorsi?
Si consideri però il castello-taverna di Calvino solo nel suo archetipo di cornice narrativa, modello ricorrente dalla dimora campestre del Decameron sino al cimitero sulla collina dell’antologia di Spoon River, e si osservi poi che nel Furioso non esistono caratterizzazioni spazio-temporali realistiche e assolute, ma sembrano essere gli spazi ad adattarsi attorno all’uomo, il vero centro della narrazione. Si giungerà in questo modo alla conclusione che il sontuoso paesaggio ariostesco è poco più di una cornice, è una ricca scenografia che ha il compito di far risaltare le vicende umane sul primo piano.
In fondo la “mappa del mondo che si dispiega tutta contemporaneamente sotto l’occhio del lettore” (L’Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino, commento al canto X) non è affatto dissimile al dispiegarsi dei tarocchi sul tavolo del castello.
3)Della modernità
L’Orlando Furioso non poteva non essere considerato un’importante espressione della modernità. Anche prescindendo dagli sviluppi letterari successivi, dai Tre Moschettieri di Dumas e dal Don Chisciotte di Cervantes, e ignorando per un attimo l’attenzione di Ariosto al punto di vista del lettore e ai suoi gusti, tratto che lo avvicina allo scrittore moderno. Tralasciando dunque questi elementi e tutto il superfluo, cosa resta?
Gli archetipi.
Archetipi magari poco vari, ma talmente ampi da racchiudere in sé, se sapientemente combinati, tutte le possibilità dell’umano.
Uomini più o meno valenti, audaci, aggressivi o leali; donne coraggiose, indipendenti, remissive o innamorate; interventi esterni bonari o maligni: tanto basta per dar vita ad infinite combinazioni e conseguenti storie dall’apparente originalità.
Ecco perché le storie di Ariosto appaiono così moderne e così simili a quelle scaturite dai tarocchi: permettono una subitanea immedesimazione, una quasi automatica trasposizione dei valori a noi contemporanei, che si vestono d’abiti d’epoca.
Il merito di Ariosto sta nell’aver colto l’archetipo più ampio, l’uomo che insegue i suoi vani desideri.
E forse per questo motivo, o forse per giocosa ironia del fato, il racconto degli archetipi è diventato l’archetipo dei racconti.
Elisa Sotgiu
mercoledì 28 gennaio 2009
Potenzialità narrative e tematiche dell’Orlando Furioso da Ariosto a Calvino.
Matteo Sini IID
lunedì 26 gennaio 2009
Calvino e il confronto con la modernità del Furioso
“Il Furioso è un libro unico nel suo genere e può essere letto senza far riferimento a nessun altro libro precedente o seguente; è un universo a sé in cui si può viaggiare in un lungo e in largo, entrare, uscire, perdercisi”. Così Italo Calvino, nella premessa del suo libro L’Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino”, definisce la più importante opera di Ludovico Ariosto: parla del poema come un mondo nel quale si può entrare e uscire in qualsiasi punto e scoprire ogni volta un intreccio nuovo, diverso ad ogni lettura; la grandezza dell’opera sta, infatti, proprio nella sua struttura a labirinto, in cui davvero si rischia di non riuscire più a ricollegarsi alla storia nel suo complesso. Proprio per questo motivo, Calvino ha deciso di scrivere il suo libro: per raccogliere in 310 pagine, in 22 capitoli, l’ampia e articolata narrazione ariostesca, divisa in 46 canti. L’intento dello scrittore è stato anche quello di tradurre, in un linguaggio più moderno, il testo del Furioso per meglio comprendere un italiano cinquecentesco che, pur nella sua semplicità e somiglianza al nostro, in alcune parti può rimanere oscuro se non si hanno adeguate conoscenze lessicali. L’operazione di Calvino non diventa, però, una normale parafrasi: egli propone i versi dell’Ariosto, precedendoli da un riassunto in prosa efficace e appassionato (d'altronde egli è un grande estimatore dell’opera e del suo autore), in modo che il lettore si trovi avvantaggiato con un’idea sommaria alle spalle di quello che il poeta cinquecentesco racconta. Alla fine del libro, inoltre, è riportato un vasto apparato di note, che spiegano e forniscono sinonimi per le espressioni ariostesche più difficoltose da interpretare.
Calvino non racconta l’intera vicenda: si limita a selezionare, viaggiando a zig-zag tra i meandri del poema, le parti più importanti, quelle che consentono di ripercorrere la storia nel suo complesso, senza però escludere completamente i particolari, che pure sono necessari. Egli, inoltre, non segue fedelmente lo svolgersi dei fatti così come sono riportati nel poema originale, ma divide gli episodi per temi, personaggi ed eventi, affinché la narrazione non sia spezzata in alcune parti, come effettivamente Ariosto fa: il tutto sempre per andare incontro al lettore, fornendogli una versione del Furioso più agevole da consultare.
L’apporto più prezioso che fornisce l’opera consiste però nelle già citate parti in prosa a supporto dei versi dell’Ariosto: qui l’autore non si limita a riassumere e a meglio specificare i versi stessi di volta in volta proposti: altrimenti avrebbe finito per considerarli meno importanti, costituendo essi il poema originale e quindi ciò su cui si dovrebbe concentrare la maggiore attenzione, e quindi il suo libro non si sarebbe differenziato in niente da un qualsiasi riassunto dell’opera. Oltre a questo, infatti, lo scrittore commenta quanto avviene, si sofferma sullo stato d’animo di un personaggio o sulla descrizione di un paesaggio, approfondisce i temi lanciati dai versi originali con delle riflessioni quasi filosofiche, ironizza, esattamente come il poeta del Cinquecento, su alcune situazioni rendendole bizzarre, enuncia le particolari tecniche di narrazione e di stile utilizzate dall’Ariosto. La sua prosa è insomma di doppia natura: una prosa narrativa e una critica, a cui ovviamente corrisponde un doppio contributo dell’autore. Contributo che permette al lavoro di Calvino di essere non soltanto un’opera sull’opera, ma un vero e proprio testo autonomo.
Non mancano anche i commenti personali, che si soffermano più su dei particolari, sia sul poema, come la definizione citata all’inizio, che sul suo autore. Su Ariosto, Calvino mette in luce le correlazioni tra lui e i suoi personaggi: fa, ad esempio, un paragone con Astolfo, insolito rispetto ad altri più tradizionali che vedono il poeta rispecchiarsi in questa sua figura: “Mai che ci riveli nulla di sé, di cosa pensa e cosa sente, eppure l’anima ariostesca é riconoscibile soprattutto in lui, esploratore lunare che non si meraviglia mai di nulla, che vive circondato dal meraviglioso e si vale di oggetti fatati, libri magici, metamorfosi e cavalli alati con la leggerezza di una farfalla”; con queste parole, Italo Calvino vuole sottolineare quasi l’assenza di Ariosto dal suo poema, almeno per quanto riguarda le vicende in senso stretto, poiché, proprio come al salvatore del senno di Orlando sembra normale il paesaggio lunare e tutto ciò di magico di cui fa uso, non prova particolari emozioni per la materia da lui stesso narrata, o almeno non le rende note.
Per quanto riguarda i personaggi, Calvino si sofferma a descriverli singolarmente, ma fa anche affermazioni di carattere generale su di essi; ci propone una possibile classificazione: “Ci sono quelli costruiti di pasta fatata, che più gli fioccano addosso i colpi di lancia e di spada più si temprano… e ci sono quelli, non meno nobili e non meno valorosi, che essendo costruiti di pasta umana, ricevono ferite che sono ferite vere, e ne possono morire”. Calvino qui, oltre alla semplice distinzione in due categorie dei personaggi ariosteschi, marca l’intento di fondo di Ariosto: quello di descrivere i suoi personaggi focalizzando l’attenzione più sulla dinamicità dell’azione che sulla creazione di complesse psicologie; ciò che, infatti, importa al poeta non è creare personaggi con caratteri veri e propri, ma stabilire un’intensa relazione tra ogni personaggio e gli altri, cosicché possa meglio costruire attorno a questo sistema di rapporti il complesso intreccio dell’opera. Di qui la decisione di attribuire ad ogni figura un solo aspetto dell’immensa psicologia umana e la distinzione in due semplici categorie, senza naturalmente dimenticare le maggiori specificazioni proprie dei personaggi più importanti, come afferma lo stesso Calvino.
E infatti, il nostro scrittore non si dimentica di commentare anche le singole personalità: “Orlando diventa, se non un vero e proprio personaggio, certo un’immagine poetica vivente, quale non era mai stato nella lunga serie di poemi che lo rappresentavano con elmo ed armatura.”, dice a proposito di uno dei principali personaggi del Furioso, a sottolineare il distacco di Ariosto dalla tradizione cavalleresca. Calvino, poi, evidenzia la scarsa importanza che ricoprono diversi personaggi che invece nei poemi cavallereschi hanno avuto in generale sempre un qualche posto in prima fila: parla di Ferraù, Sacripante e Rinaldo come cavalieri non necessari per l’economia della narrazione. Infine, non manca di far notare il ruolo che ricopre il destino nelle azioni stesse di alcuni personaggi: è preziosa, a questo proposito, la descrizione che elabora di Ruggiero: “Duro destino è l’avere un destino. L’uomo predestinato avanza e i suoi passi non possono portarlo che là…nel caso che gli astri abbiano decretato, come a Ruggiero, un matrimonio d’amore, una discendenza gloriosa, e pure ahimè una fine prematura…”.
L’opera in sé, per concludere, soffermandosi più su un punto di vista di scelte stilistiche e narrative, viene definita “aperta”, forse anche con un piccolo spirito critico: non ha un vero e proprio inizio, presentandosi come la continuazione dell’ Orlando Innamorato del Boiardo, ma non sembra nemmeno avere una fine, concludendosi con un ennesimo combattimento. Ma, a parte questo, non si può certo dire che Calvino non si sia divertito a farci apprezzare, grazie alle sue doti di scrittore e appassionato di letteratura, il Furioso.
Potrebbe essere interessante per il nostro dibattito di oggi anche un confronto con un altro libro di Calvino, Il castello dei destini incrociati. Esso contiene due sezioni: la prima intitolata appunto Il castello dei destini incrociati, mentre la seconda è intitolata La taverna dei destini incrociati. In entrambe, il nostro scrittore si diverte a comporre le storie di diversi personaggi semplicemente combinando tra loro dei tarocchi, che rappresentano sia figure umane che oggetti: “Quando le carte affiancate a caso mi davano una storia in cui riconoscevo un senso, mi mettevo a scriverla”, dice. Un’idea, questa, conforme alla sua genialità. Egli fa raccontare ai personaggi stessi, riuniti in una taverna, quanto è loro accaduto, proprio attraverso le carte, avendo per magia perso la parola. Le carte, che sono le stesse a disposizione di tutti, fungono così da elemento unificatore tra le varie vicende: vengono incrociate in diverso modo a seconda della storia, creando così “un numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi”, come ci suggerisce Calvino medesimo. Questi descrive le diverse storie in modo particolareggiato e preciso, riservando anche spazio per delle accurate riflessioni sulle singole situazioni e sui dettagli delle figure, proprio come, nel Furioso da lui raccontato, si sofferma su particolari aspetti del poema e dei suoi personaggi. Anche se il fatto che i tarocchi siano uguali per ogni storia comporta una lieve ripetitività, il libro è certamente ricco di originalità.
A che scopo un confronto di questo tipo tra due libri dello stesso autore? In realtà, il paragone non si esaurisce tra i due libri, ma essenzialmente tra Calvino e Ariosto: nel Castello dei destini incrociati il primo si comporta esattamente come il secondo nell’Orlando Furioso. In veste di narratore esterno, Calvino, seppur in maniera più semplice e ordinata di Ariosto, poiché divide le storie a seconda del protagonista senza mescolarle assieme, ordisce e mette insieme tra loro, affidandosi alle possibili combinazioni dei tarocchi, le avventure dei personaggi, i loro destini, fornendo anche talvolta maggiori specificazioni, giudizi, commenti. Non si avvicina forse all’operato dello scrittore cinquecentesco? Anzi, gli interventi sono qui più numerosi, volti proprio a guidare il lettore tra le diverse trame. In questo modo imita quanto egli stesso ha realizzato nel Furioso da lui interpretato e commentato, il cui intento principale è, come abbiamo detto espressamente all’inizio, quello di accompagnare gli appassionati del poema ariostesco in una lettura di questo adeguatamente semplificata. Ancora una volta possiamo distinguere quindi un doppio Calvino: uno narratore e tessitore di racconti (assimilabile ad Ariosto), un altro guida e commentatore (paragonabile al Calvino del primo libro considerato).
Un altro collegamento può essere riscontrato, stavolta con il poema ariostesco, e riguarda i temi trattati nel Castello dei destini incrociati, in molte storie affini a quelli celebrati da Ariosto, ma anche con alcune differenze. Una, ad esempio, risiede nella diversa trattazione del tema cavalleresco: Calvino non ricorre mai all’ironia, di cui invece si serve il poeta cinquecentesco, proprio in quanto cinquecentesco, nel descrivere i valori e i personaggi, anzi quasi si ricollega alla tradizione medievale enfatizzandone, in alcuni casi, molte caratteristiche positive, come la disponibilità dei cavalieri ad aiutare i più deboli. Il codice di comportamento cavalleresco gode quindi di una diversa considerazione e costituisce una delle tematiche principali delle vicende narrate, assieme ad un altro tema specifico del Furioso, l’amore, e ad uno invece nuovo, il denaro. Entrambi creano nuovi eventi e nuove situazioni, poiché implicano la ricerca o di una corrispondenza all’amore o di altro denaro; tale ricerca, esattamente come avviene nel poema di Ariosto, risulta vana e vuota, di un qualcosa che non si riesce a trovare. Amore e denaro possono anche portare a sofferenze, in particolare il secondo, come nella storia del Ladro di Sepolcro.
Il castello dei destini incrociati può essere dunque considerato come un ponte tra i due Orlando Furioso, quello originale e quello di Calvino, permettendoci meglio di capire quali siano le connessioni tra questi ultimi due, già inizialmente sviluppate. In particolare, sono approfonditi gli aspetti fondamentali del poema di Ariosto che lo stesso Calvino aveva messo in luce nel suo primo libro, senza però fornirci dettagliate indicazioni sulle sue idee in proposito, indicazioni che invece emergono nel secondo libro, in particolare riguardo al mondo cavalleresco.
Il titolo di questo saggio evidenzia un altro aspetto da approfondire: la modernità del Furioso. In che senso si può parlare di modernità per un autore del Rinascimento, epoca ancora distante dall’età moderna in sé? Ci si riferisce al fatto che Ariosto va oltre la sua epoca, quasi come se avesse previsto che l’uomo dopo di lui sarebbe entrato in nuove epoche culturali, più vicine alla nostra. Ecco come l’Orlando Furioso rispecchia direttamente il periodo storico in cui è stato scritto e si proietta direttamente verso il futuro.
Prima di tutto, attraverso una nuova concezione della tradizione cavalleresca, locuzione che finora è stata nominata tante volte ma di cui non è stato dato ancora conto sotto il profilo ariostesco. Ariosto prende in considerazione le sue numerose fonti medievali, appartenenti al ciclo bretone e carolingio e alla tradizione dei cantari, non per passione dei valori che le caratterizzano, o per deridere questi stessi valori ormai scomparsi dalla società, ma unicamente per creare un pretesto letterario, dietro il quale vuole esprimere invece valori tipici della sua epoca. Il poeta è ben consapevole della distanza che lo separa dalla società e dalle virtù cavalleresche e vuole trasmettere anche al lettore del Furioso questa distanza, in diversi modi: in primis rielaborando, in maniera del tutto personale e soggettiva, le vicende e i personaggi della tradizione precedente, già noti ma con caratteristiche ben diverse (e in questo consiste in gran parte l’originalità del poema); dunque, utilizzando artifici di stile, come il vasto uso che fa dell’ironia, con cui si permette di guardare il passato dei cavalieri con una certa superiorità. Una revisione della letteratura della cavalleria tale che non si può non parlare di rottura con il passato, anche con quello recente dell’Orlando Innamorato del Boiardo, revisione che gli è permessa dallo stesso fatto che, ormai, il mondo espressione di quella letteratura non esiste più da tempo.
La rielaborazione ariostesca non si esaurisce però nella narrativa, ma anche inevitabilmente nei temi: il motivo principe della tradizione cavalleresca, la guerra, è messo, come la tradizione stessa, in secondo piano. Ad Ariosto non importano le vicende belliche tra cristiani e saraceni, la descrizione delle battaglie; gli interessano invece i singoli personaggi, le loro storie e i loro pensieri, che nel caos della guerra non possono che rimanere emarginati. Esalta quindi il valore del singolo individuo, in piena sintonia con la cultura rinascimentale. A sostegno di ciò, lascia maggiore spazio a temi profondamente umani: l’amore, che porta gioie e sofferenze, l’amicizia, la fedeltà, la follia, che vanno a sostituire, in parte o in tutto, il coraggio, l’eroismo, la forza, il valore in battaglia. Inoltre, decide di mantenere alcune tematiche, come la magia (caratteristica del ciclo bretone) e la ricerca, la queste, che però cambiano natura. Così, il motivo del magico non è un semplice elemento fantastico, ma è di doppia natura: diventa un mezzo di inganno e quindi di potere, ma anche creatore di arte, che Ariosto configura come l’espressione del dominio dell’uomo sulla realtà e della sua capacità di autodeterminazione. La ricerca, invece, non impegna più un cavaliere in un lungo percorso compiuto per trovare la propria identità, percorso che comunque avrà una fine; si trasforma in un girovagare vano e inappagato, per inseguire nient’altro che illusioni.
Revisione anche dei personaggi, intesi come uomini, ed è qui che fa i passi più grandi, staccandosi non soltanto dal mondo della cavalleria: l’uomo di Ariosto non è solo l’uomo rinascimentale, ma è più moderno, più vicino a noi, perché il poeta sa che si faranno passi avanti rispetto al suo presente. Un uomo nuovo perché autonomo, e non più solo padrone del proprio destino, preda del caso e non di una Provvidenza.
È moderna anche la concezione che Ariosto ha di sé (e qui spostiamo il nostro campo d’indagine): quella di un demiurgo, di un plasmatore della sua opera, che diventa necessariamente una creazione, senza che l’attingere a delle fonti possa comprometterne l’originalità. Come è avanzata l’idea di rivolgere la propria attenzione al lettore, con interventi in prima persona per guidarlo e ricordargli che nel Furioso tutto è irreale. Ma il lettore non è solo la corte estense in cui il poeta opera: il poema va oltre questi confini, l’autore lo vuole diffondere; di qui la decisione di adottare una lingua in grado di imporsi su tutti i dialetti italiani, il toscano (secondo le teorie espresse da Pietro Bembo). Infine, è nuovo anche il genere letterario del Furioso, che si configura come il prototipo del romanzo moderno che, pur partendo dalla materia cavalleresca, ne dichiara allo stesso tempo la fine.
Per tutti queste ragioni, il salto in termini di tempo, la proiezione verso il futuro che Ludovico Ariosto e il suo poema compiono non è di poco conto. Se un autore contemporaneo come Calvino li ha presi in considerazione (e non solo per ammirazione letteraria) e li ha esaminati con cura, vuol dire che anch’egli li ha trovati più vicini a noi di quanto l’apparenza e il tempo che ci separa da loro potrebbero farci credere.
mercoledì 21 gennaio 2009
L’ “Orlando furioso” e la visione emancipata della donna
Quest’operazione è svolta in maniera magistrale poiché l’autore apprezzava le opere e la stessa personalità di Ariosto, e ciò ci è testimoniato dalla sua enciclopedica conoscenza del capolavoro del XVI secolo.
Per commentare l’opera, l’autore si avvale di ritagli dell’edizione originale di cui puntualmente anticipa la trama.
In questo modo l’intreccio narrativo risulta più chiaro e semplice nonostante Calvino rimanga fedele alla tecnica ariostesca del “differire”, conosciuta anche come “entrelacement” che consiste nel lasciare in sospeso la narrazione di alcuni episodi introducendone di nuovi in modo da creare suspence e interessare maggiormente il lettore.
L’intreccio quindi non risulta in alcun modo danneggiato o alterato, ogni fatto è narrato con la medesima sequenza scelta da Ariosto.
Calvino sembra apprezzare il personaggio di Angelica che è forse quello psicologicamente più complesso in quanto è in continuo cambiamento, per la sua propria sopravvivenza cambia totalmente, è dolce e addirittura sensuale con Medoro e con i suoi spasimanti qualora se ne voglia servire, è fredda e calcolatrice sembra essere consapevole della sua bellezza e anche di come sfruttarla, forse è questo il motivo per cui risulta tanto affascinante.
Tornando all’opera, essa come le altre produzioni di Ariosto, fu senza dubbio per Calvino non solo fonte d’ispirazione ma piuttosto un vero e proprio modello, un’opera da cui si deve solo imparare data la maestria dell’autore nel gestire le innumerevoli vicende che si intrecciano continuamente all’interno dell’opera ma soprattutto nel tracciare un profilo psicologico così azzeccato di ogni personaggio facendoli risultare tutti essenziali.
Ariosto fu tanto importante e tanto apprezzato da Calvino che quest’ultimo in una sua opera intitolata “Il castello dei destini incrociati” riprende due brani del Furioso (quello di Astolfo sulla Luna e della follia di orlando) probabilmente per omaggiare Ariosto.
Questi due passi del Furioso sono inseriti in un contesto molto particolare, in quanto l’opera è ambientata in un castello incantato in cui tutti coloro che nel viaggiare sono colti dalle tenebre sono accolti e così accade al narratore che trova rifugio appunto in questo luogo. Durante la cena il protagonista cerca di parlare con gli altri commensali fra cui vi erano Orlando e Astolfo, che cenavano senza aprir bocca, ma si accorge di non riuscire a parlare in quanto si trovava in un castello incantato. Dopo cena gli ospiti per comunicare fra di loro utilizzano delle carte, ognuna delle quali rappresenta la storia di uno degli ospiti ed è per questo che Calvino inserisce due passi del Furioso.
Le carte vengono disposte su di un tavolo a mo’ di tarocchi e in questo modo si intrecciano e danno origine ad altre storie dove esse assumono significati diversi rispetto ai precedenti.
Da ciò deriva il titolo dell’opera, da un castello in cui i destini, le storie degli ospiti si uniscono per andare a formare nuove storie.
La particolarità, che Calvino rivela nel momento in cui aggiunge la sua alle altre storie, è che dopo averlo fatto ha difficoltà a ricordare come fosse giunto in quel posto.
Sembra quasi che l’atto di allontanare le carte che rappresentano la propria storia equivalga ad allontanarla dalla propria memoria.
L’incontro invece fra Calvino e i due personaggi del Furioso è più enigmatico in quanto non è chiaro se svolgano unicamente una funzione celebrativa o se rappresentino un tentativo di imitazione o se in qualche modo Calvino voglia unire la sua storia a quella di Ariosto.
Tornando invece all’ “Orlando Furioso” essa è l’opera che nonostante l’età può ancora essere considerata moderna per diversi aspetti, in primo luogo per il modo in cui viene trattato il tema dell’amore ma in particolare per come vengono rappresentati i personaggi femminili.
E’ in questo che sta la modernità del Furioso, nell’emancipazione dei ruoli femminili.
Ariosto infatti era un ottimo conoscitore degli auctores latini, tendeva a imitarli, ma in questo modo si può dire che tenti di superare non solo i massimi autori latini ma anche i grandi poeti come Dante, Petrarca e Boccaccia, dai quali si lasciò influenzare per molti aspetti.
Il superamento dei modelli avviene con l’attribuzione di ruoli femminili non solo di una maggiore importanza e rilevanza ma anche di un profilo psicologico più dettagliato e sfacciato, basti pensare al dinamismo psicologico di Angelica o a Bradamante che è in realtà più forte e abile di molti cavalieri di sesso opposto.
L’originalità di questa operazione è innegabile in quanto fino a quel momento la letteratura italiana aveva sempre visto la donna relegata nel suo ruolo di donna-oggetto che ispirava i versi dei poeti ma in realtà si limitava a questo, la donna era l’oggetto del desiderio. Basti pensare alla Laura petrarchesca o alla Beatrice dantesca, erano semplicemente modelli di bellezza esteriore ma in realtà nulla si poteva comprendere del loro carattere in quanto avevano un ruolo marginale, privo di azione, a queste donne il poeta si rivolgeva ma nient’altro.
In questo senso l’ “Orlando furioso” diè realmente moderno in quanto non sfigurerebbe se ambientato in tempi odierni, in cui le donne cercano sempre maggiore spazio.
Mario Falchi
Ariosto tra passato e futuro
Il Capolavoro Ariostesco viene riesaminato e commentato da Italo Calvino che con una descrizione semplice, personale, chiara e talvolta ironica, fornisce al lettore una chiave moderna di lettura per comprendere meglio l’opera. Attraverso alcuni stralci scelti dal testo originale, offre una comprensibile appassionante avventura in un mondo fantastico, dove l’abilità narrativa di Ludovico Ariosto trova la sua massima espressione.
Le premesse ai brani sono per lo più brevi ed esplicative, non superano quasi mai le 100 righe.
L’autore si sofferma sugli aspetti fisici e psicologici dei personaggi, sia del ruolo che questi ultimi hanno in quel preciso momento e contesto. I contenuti sono facilmente assimilabili, considerando le abilità narrative di Italo Calvino. Magistrale è la capacità dell’autore nel mettere in evidenza soprattutto i legami che intercorrono fra i protagonisti e da quali fattori e cause questi son stati determinati. Fa risaltare come l’abilità di Ludovico Ariosto si manifesti nel riuscire a inserire all’interno della storia innumerevoli personaggi che pian piano si incontrano, talvolta si “scontrano” in alterne vicende, senza venir mai dimenticati; ogni personaggio ha un ruolo fondamentale per lo svolgimento dell’intreccio, seppure Ariosto preferisca enfatizzare certi personaggi rispetto ad altri.
Il poema acquista così un ritmo incalzante e ci trasporta in quel mondo di sentimenti ed emozioni che quasi sembrano appartenerci.
Italo Calvino si sofferma particolarmente sulla descrizione del castello di Atlante, nel quale son stati attirati con l’inganno cavalieri come Astolfo, o lo stesso Orlando, ma anche tante altre tipologie di personaggi. Scopriamo come le esperienze di vita dei “partecipanti” siano legate tra loro leggendo ed esaminando Il castello dei destini incrociati. Il castello sembra quasi rappresentare un concetto di realtà vincolante che condiziona l’intera esistenza dell’essere umano. I personaggi riescono a comunicare tra loro e a raccontare le proprie avventure solo attraverso l’uso dei tarocchi, poiché sono stati privati della voce. Geniale è questa trovata: permette sia ai protagonisti di esprimersi, sia agli altri che osservano di elaborare congetture, sfruttando l’immaginazione. Non si tratta però di una descrizione fine a se stessa, bensì di un modo per condividere pensieri, conoscere se stessi e cercare di non dimenticare la propria identità.
La modernità dell’Orlando Furioso risiede nel fatto che l’autore non si limita a ricreare le circostanze che ricordano le avventure descritte all’interno delle opere del ciclo bretone e del ciclo carolingio, ma riesce a elaborare con le parole quel che oggi è persino difficile riprodurre in una pellicola cinematografica: l’intrecciarsi delle vicende, le tematiche trattate in ogni sfaccettatura ricordano molto il nostro modo di pensare. Nell’epoca di Ludovico Ariosto la popolazione e i cortigiani non si interrogavano come noi su ogni singola questione. Noi prendiamo ogni argomento seriamente e lo analizziamo nei minimi particolari, proprio quel che compie Ludovico Ariosto, proiettandosi così verso il futuro.
Silvia Pinna
Modernità e varietà nell‘Orlando Furioso
Sono presentati al lettore numerosi e diversi scenari, dall’Oriente all’Occidente, dai campi di battaglia ai boschi più selvaggi, fino ad arrivare sulla Luna con l’ippogrifo, e in questi luoghi si svolgono le avventure di personaggi i cui sentimenti si incontrano e si richiamano a vicenda: amore, amicizia, fedeltà, devozione si intrecciano e convivono con infedeltà, inganno, violenza. Sono dunque figure che cambiano, si trasformano e rispecchiano i personaggi della vita reale, rendendo l’Orlando Furioso il romanzo delle passioni e delle aspirazioni degli uomini del tempo: l’uomo contemporaneo non è armoniosamente composto, non è disposto secondo criteri di equilibrio, ma cambia, esagera, è combattuto fra molti desideri e doveri. Ariosto sa che il mondo dei cavalieri appartiene definitivamente al passato e quindi non intende celebrarlo: l’Orlando furioso vuole essere uno strumento letterario per esprimere ideali e valori dell’uomo del ‘500.
L’autore racconta, in sostanza, gli innumerevoli percorsi che l’uomo moderno, razionale, libero e responsabile delle proprie azioni, può intraprendere. Un importante elemento di novità e modernità è dato dal fatto che l’opera non è rivolta solamente alla corte estense, ma a tutta la società contemporanea; è la prima opera letteraria diffusa con l’uso della stampa.
Italo Calvino legge e rielabora l’Orlando furioso. Egli viaggia all’interno del poema di Ariosto: non lo riporta per intero, ma sceglie, commenta e spiega le strofe più belle, le adatta in chiave moderna per facilitarne la comprensione. Richiama i diversi personaggi, spiegandoli e concedendo il giusto spazio a tutti.
Per un verso simile al Furioso è un’altra opera di Calvino: il Castello dei Destini Incrociati. Forse in una rilettura del castello di Atlante, il protagonista si ritrova in una fortezza nel mezzo di un bosco con altre persone di ogni genere imprigionate con lui; non possono parlare e dunque raccontano le proprie storie mediante i tarocchi. Ma la disposizione delle carte in una storia assomiglia a quella di altre storie e dunque i racconti si intrecciano formando un’enorme rete in cui ci si può perdere seguendo le infinite trame. E così come infiniti sono i racconti individuabili nella disposizione dei tarocchi, infiniti sono i personaggi che si potrebbero individuare.
La seconda parte de Il Castello dei Destini Incrociati, intitolata La Taverna dei Destini Incrociati, è caratterizzata da toni molto più forti; lo schema di base è simile: un gruppo di persone si ritrovano in una taverna e raccontano le loro storie mediante i tarocchi, ma l’atmosfera è meno calma; il terrore di ritrovarsi di colpo in quel luogo ha lasciato segni concreti sui protagonisti, i cui capelli sono sbiancati per la paura; inoltre si percepisce la fretta dei personaggi di raccontare la propria storia: le carte appena poggiate sul tavolo vengono prese da altri per altri racconti, tanto che alcuni sono costretti a tenerle ben saldamente con braccia e mani; le storie stesse sono più dure nelle perdite e nelle distruzioni. L’atmosfera ricorda le scene di guerra o di battaglia dell’Orlando Furioso.
Così come nell’Orlando Furioso non vi è un unico personaggio dalla psicologia complessa e profonda intorno al quale far ruotare tutte le vicende dell’opera. Sia Ariosto che Calvino, almeno in questo caso, hanno creato un gran numero di personaggi con lo scopo fondamentale di sottolinearne il carattere che rispecchia un aspetto tipico e specifico della natura umana, con la consapevolezza di non esaurirne l’infinita varietà.
Giuliana Siddi
martedì 20 gennaio 2009
"L'Orlando Furioso da Ariosto a Calvino"
Poema, quello ariostesco, che ha ispirato, e tuttora ispira critiche e riflessioni che spesso si traducono in opere quale quella scritta da Italo Calvino nel 1970. Animato da un grande amore per lo stile di Ariosto e per l'autore stesso, Calvino spoglia il Furioso riducendolo all'essenziale, commentandone le ottave a suo parere più salienti e mettendone in evidenza gli aspetti fondamentali. Egli non manca di sottolineare l'aspetto ironico, ma anche quello umano delle tematiche e delle vicende che si dipanano per tutto il mondo conosciuto da Carlo Magno; è consistente lo spazio lasciato alla capacità ariostesca di edificare strati e strati di narrazione che risultano disparate tra loro, ma non si disperdono mai e tanto meno conferiscono al poema una pesantezza ampollosa. Al proposito che sembrerebbe quello di celebrare ed evidenziare il Furioso nel 1973 viene scritto “Il castello dei Destini Incrociati” all'interno del quale Calvino guarda con la lente d'ingrandimento alcuni degli episodi ridotti al dettaglio da Ariosto che non consente a duelli, armate, amori e incantesimi di soffermarsi troppo a lungo. Disponendo i tarocchi sulla tavola dapprima di un castello ed in seguito di una taverna, i personaggi più diversi accomunati dal fatto di essersi persi nel bosco e dall'aver perso l'uso della parola, rendono nota ai commensali la propria storia. Ogni episodio narrato, nella sua brevità, è emblematico dei temi trattati nel Furioso. Ecco che quindi, nel disporre i tarocchi per comporre la propria vicenda, si alternano spose dannate per aver rifiutato l'amore che ricordano l'atteggiamento remissivo di Angelica; l'alchimista che paga lo scotto per aver voluto superarle conoscenze umane, tema su cui Ariosto sofferma il pensiero di tutta la sua vita formulando per l'umanità il consiglio di riconoscere i limiti concessi, raggiungerli, ma non sorpassarli. Attraverso i tarocchi parla perfino Orlando, ossimoro vivente che passa dall'essere un esemplare di perfetto ed onorabile paladino a correre nudo compiendo stragi ed atti irrazionali di qualsiasi tipo dopo aver perso il senno per amore. “Il castello dei destini incrociati” ospita l'intreccio di trame che già il suo ispiratore, il Castello di Atlante, aveva ospitato senza però speculare riguardo il tema di fondo, invece asse dei brevi, ma esemplificativi, vissuti narrati dai tarocchi. Il percorso che procede a zigzag uscendo dal furioso ariostesco per addentrarsi nel più modesto e di natura esplicativa “Castello dei destini incrociati” di Calvino, opera foriera della concezione novecentesca del Furioso, è improntato dalla modernità di cui Ariosto è promotore. Il personaggio del Furioso percorre il mondo in orizzontale alla conquista del proprio destino; nel poema i cavalli e i cavalieri corrono a briglia sciolta senza dogane di limitazione umana imposte dal dogmatismo ecclesiastico, autorevole e culturale di cui il Medioevo si era nutrito. Paradigmatico è l'avvicendarsi degli incarichi di Astolfo che, dapprima sale sulla Luna, quel corpo perfetto ed inviolabile nel Medioevo, ed in seguito restituisce a Orlando il proprio senno, rappresentando così la rinascita razionale dell'uomo.
Orlando e l'intricato svolgimento delle vicende più diverse ed assurde dei suoi compagni di viaggio, hanno quindi aperto la strada al romanzo moderno in una terra su cui, a detta di Ariosto, non è rimasta che pazzia.
Luana Cau
Il Furioso: nascita della telenovela e della pubblicità
La grande abilità narrativa di Ariosto, la sua ironia ed il suo disincanto, la padronanza delle tecniche narrative, la mediocritas (equilibrio) e, soprattutto, la passione per l’attività fantastica, hanno fatto avvicinare all’autore ferrarese del XVI secolo numerosi studiosi tra cui un’esuberante personalità della letteratura italiana del XX secolo che ha amato e pienamente condiviso la produzione e le tecniche di Ariosto: Italo Calvino, autore che ha dimostrato la sua passione per il Furioso raccontandolo lui stesso in un’opera del 1970 dove regala una straordinaria guida alla lettura del Furioso ariostesco, in cui alle strofe dei passi scelti si alterna un racconto semplice e appassionato dove l’autore riesce a mantenersi fedele all’opera originale da lui interpretata ed accompagnata in qualità di narratore esterno ed omnisciente.
Il lavoro di Calvino non è però da considerare solo come il frutto di un grande amore per l’Ariosto ma, rappresenta anche un’importante operazione finalizzata all’invito alla lettura (rivolto soprattutto alle generazioni più giovani) di una così importante opera spesso non appieno apprezzata e compresa. La chiave di risoluzione delle due problematiche citate può, indubbiamente, essere una caratteristica fondamentale sulla quale si basa l’intera opera: la modernità.
L’ ”Orlando Furioso” è, infatti, il poema moderno per eccellenza: padre della telenovela e di una prima forma della pubblicità. Ariosto, suo autore, si rende, così, predecessore degli uomini del XX secolo tempo in cui, spesso inconsapevolmente, si sono proiettate le eterne ombre delle tecniche e della genialità di un uomo vissuto più di quattrocento anni prima.
Correva l’anno 1963 quando comparve in Brasile la prima telenovela a episodi giornalieri. In Italia la prima telenovela fu trasmessa a partire dal gennaio del 1982 su Rete 4 (allora di proprietà della Mondatori).
Per definizione la telenovela è un racconto seriale che ha lo scopo di tenere desta l'attenzione dei suoi telespettatori e quindi fa un assai ricco uso di colpi di scena, capovolgimenti, imprevisti, indizi premonitori, rivelazioni clamorose e risolutive. E’ uno sviluppo di vicende che, divise in puntate, si basano su faide famigliari, tradimenti, ingiustizie, amori contrastati, fughe, agguati, travestimenti e figli illegittimi, tutte vicende che coinvolgono numerosi personaggi divisi fra il Bene e il Male. Il tratto tipico della telenovela è, senza dubbio, il fatto che la sua trama si possa evolvere all’infinito.
In tale definizione non può facilmente rispecchiarsi il Furioso? La risposta al quesito è stata data dallo stesso Ariosto e può essere facilmente trovata nella lettura dell’opera ricca di avventure su avventure intrecciate con altri avvenimenti, che parlano di paladini, di dame e dei loro contrastati amori, di compagni, di eserciti e dei nobili valori, di magie, di virtù, di follie e del loro effetto sugli uomini.
A questa tecnica compositiva, come ennesima “prova d’amore”, Calvino si ispirò per la composizione di un bellissimo romanzo: “Il castello dei destini incrociati” (1973) che narra di un castello in mezzo a un bosco che da rifugio a coloro che si trovano nei suoi pressi ma che, nel contempo, li priva della parola. Per porre fine al silenzio, sovrano assoluto tra le mura, i rifugiati raccontano le loro vite tramite un mazzo di carte che vengono disposte secondo le regole dei tarocchi, su un unico tavolo dove ogni storia incontra e si incrocia con le altre per formare un'unica disposizione. La fedeltà ad Ariosto da parte di Calvino, non viene dimostrata solo con l’intreccio che lega i destini di quegli uomini trovati per caso nel castello incantato, bensì, è palesemente esplicitata da due figure, con le loro rispettive storie, che emergono tra i personaggi: Orlando e Astolfo, la storia dell’Orlando pazzo per amore e la storia di Astolfo sulla Luna.
Passiamo ora all’analisi del secondo aspetto della modernità del Furioso: l’ingegno di Ariosto e la sua straordinaria abilità tecnico-narrativa hanno reso, inconsapevolmente, l’autore padre di una prima forma di pubblicità intesa come interruzione di una sequenza narrativa nel suo punto culminante.
Abilissimo è infatti il suo autore nell’interrompere continuamente l’azione per introdurre o continuare altri episodi destinati ad essere, come i precedenti, lasciati in sospeso per esser poi, a tempo debito, ripresi. Nel compiere tale operazione, la tecnica della quale si è avvalso Ariosto è definita la tecnica del “differire”, verbo facilmente rintracciabile nella parte finale dei canti. L’attesa e l’interesse che la sospensione narrativa comporta si traduce in una calcolatissima suspence che avvolge il lettore.
Tale suspence è equiparabile a quella ben conosciuta dal pubblico delle telenovelas costretto a vivere nell’attesa spasmodica della fine della pubblicià o dell’inizio di una nuova puntata.
L’unica differenza è rappresentata dal nome: quella che per Ariosto era la tecnica del “differire” per il mondo cinematografico del XX secolo è diventato l’effetto cliff-hanging.
La nascita della telenovela e della pubblicità rimangono e rappresentano, comunque, solo due tra le tante tematiche che consentono di considerare il poema come una delle prime e più importanti espressioni della modernità.
Angela Muretti
lunedì 19 gennaio 2009
Le stanze per la giostra di Angelo Poliziano
L'opera sviluppa vari temi conformandosi all'ideale di docta varietas. Uno dei temi che Poliziano ha contemplato è l'amore platonico.
Egli tratta questo tema attraverso l'espediente della storia tra Giuliano e una ninfa, la quale rappresenta Simonetta Vespucci.
All'interno dell'opera di Poliziano Cupido orbisce un inganno alle spalle di Giuliano per vendicarsi del fatto che questo si dedichi solo alla caccia e alle attività fisiche.
Attraverso questo tranello Giuliano si innamora della ninfa vestita di bianco: la bellissima Simonetta.
Grazie all’innamoramento di Giuliano riusciamo a comprendere quali sono le componenti fondamentali dell’ amore Platonico: la bellezza e la gioventù.
Più volte infatti Poliziano ritorna su questi temi che nella sua composizione trionfano all'interno del locus amoenus. Quest ultimo, luogo comune della poesia pastorale, rimarca l’atmosfera primaverile che accoglie la nascita del nuovo amore. Ogni elemento descritto nell’ opera di Poliziano ci rimanda all’ importanza e al trionfo che l amore, la gioventù e la bellezza assumono in tutta la composizione.
Giuseppe Gutierrez
venerdì 9 gennaio 2009
Un'emblema della letteratura umanistica quattrocentesca
Anche se il motivo principale della composizione è quello encomiastico, di cantare l'impresa di Giuliano, fratello di Lorenzo e vincitore della giostra; e anche se il titolo stesso dà l'impressione di un poemetto narrattivo che ci presenrerà lo svolgimengto della giostra, in realtà non si dà spazio alla descrizione dell'avvenimento reale come invece lo si canta nella Canzona di Bacco di Lorenzo che appartiene allo stesso genere di poesia in ottave; ad assumere il posto del tema centrale sono le vicende mitologiche della vendetta di Cupido e dell'innamoramento del giovane Iulio della ninfa Simonetta per cantare l'amore platonico dello stesso Giuliano per una donna fiorentina dallo stesso nome. Ciò ben rispecchia l'aspetto caratteristico della poetica del Poliziano: il comporre liberamente, secondo quell'ideale di "docta varietas", attraverso frequenti divagazioni soprattutto mitologiche.
Tuttavia, è proprio con il linguaggio del mito che l'opera del Poliziano può risultare come l'espressione emblematica dello spirito della cultura umanistica del secondo quattrocento, la quale ormai impregnata e che si nutre dell'idealismo neoplatonico: quello che il tocco mitologico ci raffigura è un mondo tutto formato da bellezza, candidezza e insomma tutte le perfezioni ideali cui l'umanista come il Poliziano aspira. Lo spirito idealistico-neoplatonico si ripercuote sia nella descrizione di Simonetta nella forma del tutto perfetta e ideale della figura femminile, sia nell'amore che il giovane Iulio prova per la ninfa: l'amore concepito e sviluppato nella dimensione spirituale, che si esprime nell'estasi della bellezza della fanciulla ed è inteso come il mezzo di perfezionamento spirituale.
E' stata dunque ereditata la concezione elaborata dalla poesia precedente. I versi del Poliziano sono pervasi da lucidi richiami a una serie di grandi esperienze della letteratura due e trecentesche, soprattutto quelle stilnovistica e petrarchesca, di cui si risente nella divinizzazione della donna, esplicitamente paragonata alla divinità, descritta cioè come creatura divina, nella ripresa di temi di onestà, umiltà, gentilezza ecc., tipici dello stilnovismo dantesco; e nella delicatezza e nella bellezza del paesaggio naturalistico che si rafforzano con quelle della donna-angela.
Mentre è in debito con le grandi scuole di letteratura precedenti per averne colto i motivi espressivi e concettuali fondendoli in una felice e armoniosa sintesi, il Poliziano le ha invece superate nell'elaborazione fomale attingendone la perfezione davvero senza precedente: la ricercatezza lessicale e la preziosità delle immagini costituiscono il contrassegno di tutta la sua poetica. Si coglie subito la grandezza del poeta se si comprende che, con i suoi versi, si è compito un enorme e decisivo passo in avanti nell'evoluzione in senso letterario del volgare ovvero della lingua nazionale: esso viene elevato all'altezza di una lingua capace di rivaleggiare con il latino classico che per secoli ha dominato il mondo della scrittura. In merito di tale contributo, la storia ha coronato il Poliziano di venerazione e fama eterne.
Xiaohui Zheng