mercoledì 15 ottobre 2008

La tensione verso la perfezione nelle "Stanze per la giostra"

Le Stanze per la giostra sono un poemetto in ottave composto da Angelo Poliziano nel 1475. Costui, umanista della cerchia medicea a Firenze, si accinse alla redazione della sua opera in occasione di alcuni intrattenimenti pubblici alla corte di Lorenzo il Magnifico che dovevano festeggiare un accordo di pace, intrattenimenti che prendevano appunto il nome di “giostra”.
Il proposito originario era quello di cantare la vittoria nei giochi del fratello di Lorenzo, Giuliano de’ Medici, che però morì prima che le Stanze venissero portate a termine ed il progetto venne perciò abbandonato.
Ma, come ci ricorda Ghino Ghinassi nel suo saggio Il volgare letterario nel Quattrocento e le “Stanze” del Poliziano, non è affatto l’intento celebrativo a prevalere nella redazione dell’opera, che di conseguenza è difficilmente collocabile in un genere letterario definito, e nell’analisi si può quindi tralasciare l’aspetto dell’incompletezza.
Il carattere predominante, infatti, è innanzitutto la tensione verso il raggiungimento della perfezione, scopo che affonda le sue radici nella filosofia neo-platonica di Marsilio Ficino, di cui Poliziano fu allievo durante il periodo della sua formazione culturale. Il fine di questa dottrina è appunto l’ascendere dal mondo sensibile e corrotto verso quello ideale e perfetto delle idee, gerarchicamente connotato in modo che ci sia un’Idea Suprema del Bene (identificata con Dio) a cui le altre sottostanno.
Un tale percorso è rintracciabile in primo luogo nella trama: il giovane protagonista, che pure è dotato di numerose virtù, deve ancora migliorarsi e raggiungere la completezza della propria persona passando attraverso l’esperienza d’amore, veicolo imprescindibile, sempre secondo la filosofia neo-platonica, per arrivare ad una condizione superiore. Questa idea inoltre è uno dei principi fondanti dello stilnovismo, in cui il saluto della donna è tramite di salvezza (si gioca sull’ambiguità di significato del vocabolo latino salus) e permette quindi l’elevarsi dell’anima.
Ma mentre in questa corrente letteraria la dolcezza dello stile è data dalla scelta di un lessico medio e dalla semplicità del periodare, in Poliziano risulta determinante la costruzione di un equilibrio che armonizzi gli innumerevoli apporti letterari. Infatti l’obbiettivo della perfezione viene perseguito, in campo stilistico, attraverso l’ispirarsi dell’autore a tutti i suoi autorevoli predecessori, scelta che rispecchia l’ideale, predominante nella mentalità antica sino alla Rivoluzione scientifica, secondo cui solo ciò che è finito, e quindi completo, è perfetto.
Poliziano infatti non elegge un unico autore come modello e fonte di ispirazione e neanche opera una scelta che più ampiamente riguardi una sola corrente letteraria, ma, forte del proprio patrimonio culturale, cita più o meno direttamente sia letterati a lui più vicini cronologicamente quali Guinizzelli, Dante, Boccaccio e soprattutto Petrarca, che autorità in campo letterario dell’epoca antica, da Omero a Claudiano. Di derivazione guinizelliana è l'abientazione naturalistica (questi sono infatti i primi versi del manifesto del Dolce Stil Novo: "Al cor gentil rempaira sempre amore come l'ausello in selva a la verdura"), mentre tra le virtù attribuite a Simonetta (la donna di cui il protagonista si innamora) sono particolarmente importanti l'onestà e la gentilezza, le stesse qualità che Dante decantava in Beatrice. L'apporto boccacciano, poi, è individuabile già nel tipo di strofa di cui Poliziano si serve: l'ottava, che per la prima volta viene utilizzata nel Filostrato e che ritorna nel Teseida, ma ancora più evidenti sono i rimandi a Petrarca. Il motivo dell'"aurea testa" (v.3) infatti è uno dei più ricorrenti all'interno del Canzoniere ("Erano i capei d'oro a l'aura sparsi","qual su le trecce bionde/ch'oro forbito e perle/ eran quel dì, a vederle" daRerum vulgarium fragmenta, 90 e 126), così come quello dello sguardo come vettore d'Amore (in Petrarca "e 'l vago lume oltra misura ardea/ di quei begli occhi ch'or ne son sì scarsi" e "Amor co'begli occhi il cor m'aperse" dagli stessi frammenti su citati). Più eclatante ancora il riproporre da parte di Poliziano la figura della cerva bianca, che al principio della vicenda attira il protagonista dentro alla selva per permettergli di incontrare Simonetta, cerva che in Petrarca era la metafora della stessa Laura ("Una candida cerva sopra l'erba/ verde m'apparve, con duo corna d'oro" da Rerum vulgarium fragmenta, 190).
La citazione omerica, infine, è presente nell'incipit del discorso di Giuliano:"O qual che tu ti sia, vergin sovrana,/ o ninfa o dea (ma dea m'assembri certo)/ se dea, forse che se' la mia Diana", che ricalca quello di Ulisse al suo incontro con Nausicaa ("Io mi t'inchino, signora: sei dea o mortale?/ se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,/Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,/ per bellezza e grandezza e figura mi sembri" dal Libro Sesto, vv. 149-152).
Il lessico risulta quindi estremamente ricercato ma, sempre in virtù di una ideale completezza, non mancano richiami ad espressioni popolari. Inoltre il suo perfezionamento in corso d’opera va di pari passo con quello psicologico del protagonista attraverso il percorso d’amore.
L’evento della giostra appare dunque solo un pretesto, un’occasione per Poliziano di impiegare le proprie forze e la propria cultura per redigere un’opera che avesse come obbiettivo il raggiungimento della perfezione.

Elisa Sotgiu

4 commenti:

  1. Uh, l'ho letto tutto, Eli!
    Complimenti!
    Angela.
    Ps. Ora commento la frase! :)

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  2. Ciao Elisa,
    il ragionamento funziona molto bene. Potrebbe essere ancora più calzante, se contestualizzato allo specifico brano delle Stanze analizzato.
    il prof

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  3. Con uno sforzo di volontà immane ho aggiunto delle citazioni. Sì, lo so, potrei fare di meglio, ma questo è tutto ciò che le mie condizioni attuali mi consentono!
    Elisa

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  4. Elisa Sotgiu non si tradisce mai!
    Bel lavoro donna,
    Luana.

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