lunedì 20 ottobre 2008

Poliziano e l'ideale della docta varietas

Le Stanze per la giostra sono un poemetto in ottave composto da Angelo Poliziano nel 1475 in occasione dell’evento organizzato da Lorenzo il Magnifico per celebrare il raggiunto accordo di pace fra le principale potenze italiane.
Come sottolinea però Ghino Ghinassi nel suo saggio intitolato Il volgare letterario nel Quattrocento e le Stanze di Poliziano “di cantare la giostra si manifesta, a varie riprese, solo l’intenzione”. L’opera infatti si propone di cantare principalmente l’amore platonico di Giuliano, fratello di Lorenzo e vincitore della giostra, per una donna fiorentina, Simonetta Vespucci.
Nel primo libro si narra del primo incontro tra i due, avvenuto a causa di un inganno ordito da Cupido, che voleva vendicarsi di Iulio perché questo, in precedenza, aveva preferito la caccia all’amore. Dall’analisi di questi versi, si possono notare diverse analogie, nella descrizione della giovane in particolar modo, con la poesia petrarchesca e dantesca. Simonetta, così come Laura e Beatrice, ha i caratteri di una creatura divina, è avvolta da un candore luminoso (“Candida è ella e candida la vesta”, v1) ed è tanto bella che la sua figura illumina e condiziona la natura. Per quanto riguarda l’influenza di Petrarca, l’identificazione della donna amata con una candida cerva appare già in un celebre sonetto del Canzoniere. Chiari sono inoltre i riferimenti alla poesia Chiare, fresche et dolci acque, il più significativo di questi al verso 40 (“levossi in piè con di fior pieno un grembo”) che riprende il verso di Petrarca (“una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo”). Il parlare di Simonetta è divino (“ogni aura tace al suo parlar divino”, v15), elemento presente anche nella poesia dantesca Tanto gentile e tanto onesta pare (“ch’ogne lingua deven tremando muta”). Ella è descritta come umile e piana (v17) carattere tipico della donna stilnovista, ed inoltre impersona l’Onestà, la Gentilezza, la Beltà e la Leggiadria, procedura tipica in Poliziano, sempre di derivazione stilnovista. Il verso 16 (“e canta ogni augelletto in suo latino”) oltretutto riprende il verso della poesia Fresca rosa novella del celebre poeta Cavalcanti (“e cantino gli auselli /ciascuno in suo latino”).
Ma i riferimenti anche ad altri autori sono molteplici, tra questi ricordiamo anche Boccaccio, in relazione al metro utilizzato, Ficino per quanto riguarda la concezione dell’amore che emerge, ma anche autori della poesia antica. L’inizio del discorso di Iulio (“-O qual che tu sia, vergin sovrana,/o ninfa o dea- ma dea m’assembri certo;/ se dea, forse se’ tu la mia Diana;/ s pur mortal, chi tu sia fammi certo”) si rifà infatti alle parole pronunciate da Ulisse, quando Nausicaa appare davanti ai suoi occhi ( “Sei dea o sei mortale? Se dea tu sei […] Artemide certo[...] per bellezza e grandezza figura mi sembri”).
Si può quindi affermare che in questa poesia si realizza pienamente l’ideale polizianesco della docta varietas, cioè della mescolanza e fusione di elementi attinti da fonti diverse.

Federica Bozzo

2 commenti:

  1. Ciao Federica,
    va tutto abbastanza bene: esplichi il concetto di "docta varietas" rintracciando le suggestioni e gli spunti classici e non, bene. Consiglio di stile: direi "la concezione che emerge dell'amore" piuttosto che "la concezione dell'amore che emerge", perché, a rifletterci, sembra significare altrimenti una certa tipologia di amore, che consisterebbe nell'emergere!
    il prof

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  2. Unghiii,
    ho letto tutto il tuo post (più o meno dai :D), visto che non era poi così difficile pubblicare? Scemina, bel lavoro comunque Rondinella.
    ps. sarà difficile capire chi sono,no? *

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